di Beniamino Depalma Arcivescovo
Avevamo pensato di poter sfuggire, che chiudendoci in casa o mettendo distanze tra noi e gli altri tutto si sarebbe risolto. Davanti alla difficoltà però non si può fuggire o si diventa esuli dalla vita; davanti alla difficoltà non di possono porre distanze, o di solitudine si muore; davanti alla difficoltà si impara un nuovo modo di essere insieme ricordandoci che è il ‘noi’ che salva. Non pensiamo però unicamente ad un noi fatto della consociazione
d’intenti e di accordi assunti per la sopravvivenza, quello è il noi che certamente
rende possibile il superamento della difficoltà, che pure serve a dire una comunione
d’intenti, ma non è un noi che costruisce una comunione di vita. Noi ci siamo scoperti
deboli, a fronte di una solitudine che ha fatto breccia nel cuore e in cui abbiamo
cancellato la compagnia dell’Altro e degli altri. Partiamo dalla certezza della presenza del
nostro Dio in questo tratto di storia, in questa pandemia; in questa solitudine il nostro Dio in Gesù Cristo viene a dirci nuovamente la sua parola di consolazione e di forza: “non temere”! Viene il Signore a dirci che con lui ce la possiamo fare, che con lui anche questa
storia dovrà avere il suo risvolto di vita, perché lui è capace di far fiorire il deserto e dare acqua in luoghi aridi. In questa riconquistata fiducia abbiamo però bisogno di
vivere il nostro presente recuperando i legami. Insieme al noi con Dio dobbiamo avere la forza di riprendere il discorso che anche papa Francesco profeticamente da tempo ci propone: passare ad una effettiva ed affettiva fraternità. Dalla vicinanza alla fraternità il passo non è breve, possiamo materialmente essere al fianco di un altro ma essere col cuore altrove. Dobbiamo dire basta a queste distanze, dobbiamo annullare gli abissi del nostro egoismo e costruire ponti di presenze affettuose. Quando un giorno si troverà il vaccino per sconfiggere il virus, e tutti ci auguriamo che questo avvenga quanto prima, valutiamo se contemporaneamente abbiamo fatto attenzione a cercare e curare anche la malattia più grave dei nostri cuori, quella indifferenza che realmente potrebbe essere la più grave delle pandemie. L’altro elemento è l’integrazione delle fragilità, ciò che è fragile tendiamo a metterlo al margine, ad allontanarlo dalla nostra vista e dalla nostra vita, la sfida più grande è rimettere la fragilità sotto il nostro sguardo, a portata di mano o addirittura, come fece il nostro san Paolino, a fondamento delle nostre esistenze